Umano #0.1 — Annarita Serra [copione podcast]
Voce narrante di Elena Inversetti
INTRO
C’era una volta Annarita Serra.
Una donna di successo.
Poi c’è stata una camminata su una spiaggia lontana e Annarita ha deciso di cambiare vita.
Lei ha scelto di diventare una donna libera, anche a costo di farsi prendere per pazza, ma non a costo di rimanere la ‘solita’ Annarita. E così è diventata l’Umano #0.1 di Ma che Razza di Umani!?
Sigla sempre uguale
Questa è la storia speciale di un Umano normale.
Se la ascolterai fino alla fine, non ti resterà altro che chiederti:
voce Fabio: E io? Che razza di Umano sono?
voce Fabio: Umano 0.1: Lei salva il mare dalla plastica
CAPITOLO 1
Immaginate di avere 17 anni e di vivere a Milano alla fine degli anni Settanta. Siete nati in Sardegna, ma non avete nulla di sardo. Almeno a occhio nudo. Non l’accento, non i colori. Solo, ogni tanto, vi sembra di sentire un eco lontano, come il suono della risacca del mare, quando si accosta l’orecchio alla conchiglia.
Voi vi sentite milanesi. Voi siete milanesi e ogni giorno partite dal vostro appartamento nel cuore del quartiere industriale della Bovisa, cambiate due tram, vi infilate in metrò e arrivate a scuola. Andate al Liceo Artistico Statale II° di Brera che oggi non è neanche più lì, è diventato il Palazzo del Cinema dell’Anteo, vicino a Corso Como.
Vi sentite un po’ fuori posto, perché vestite normalmente, in modo sobrio. Per bene. Mentre le vostre compagne di classe sono hippy da capo a piedi.
Presto scoprirete che sentirvi fuori posto sarà una costante nella vostra vita.
Qualche volta, alla fine delle lezioni, in quei giorni magici in cui Milano ruba la luce dal cielo azzurro descritto da Manzoni, vi concedete una passeggiata in direzione opposta alla vostra fermata della metro. Verso il centro città. Fra i vicoli di Brera.
Vi piace da morire il rumore delle vostre scarpe sul ciottolato. Non ce ne’è, infatti, uno allineato a quello vicino. Forse è proprio questa incongruenza che vi piace: una strada tenuta insieme da irregolarità.
ANNARITA Andavo in disco per sfogarmi e appena sono stata un po’ più grande rimanevo a ballare come una pazza fino alle 2/3 di notte.
CAPITOLO 2
E adesso immaginate di avere 20 anni.
Vi siete diplomati al liceo artistico, non avete ottenuto il massimo dei voti, sì ci sono stati alcuni compagni più bravi, ma siete soddisfatte. Decidete di iscrivervi all’università. Alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano a Città Studi. Questa scelta è un buon compromesso tra il desiderio di dare voce alla vostra creatività e la necessità di un lavoro sicuro.
Ed è proprio il compromesso ciò che molto presto si impone nella vita della nostra protagonista.
La famiglia Serra, infatti, vive qualche difficoltà; il boom economico non ha ancora bussato alla Bovisa.
Annarita vive con la mamma e la sorella. I genitori si sono separati. Così, in qualità di primogenita, lascia l’università, congelando le proprie aspirazioni artistiche, per contribuire al bilancio familiare.
Annarita è tenace e talentuosa. Lo dimostra subito. Trova, infatti, lavoro nel campo del marketing e in poco tempo fa carriera, diventando brand manager di una multinazionale americana nel settore del pet food.
Siamo negli anni Ottanta e questo significa che a Milano si respirano, insieme allo smog, energia, entusiasmo e positività. Tutto è animato dallo spirito meneghino della voglia di fare, perché ce la si può fare.
CONTRIBUTO voce di Emanuela:
Nella prefazione al romanzo dedicato agli anni Ottanta Una stagione milanese di Miki Solbiati e Duccio Locati, Gabriella Dompè riassume benissimo il mood del periodo: “Recitavamo una parte nella vita, ma non negli affetti. Il pronome di quegli anni era un noi generazionale e non un io individuale, a prescindere dalle contrapposizioni, Warhol o Reagan, condividevamo la voglia di vivere ed essere liberi […] Eravamo uniti nell’idealismo. Forse è questo ciò che più mi manca di quegli anni. Ho un ricordo che ha segnato quel periodo. La famosa caccia al tesoro in pigiama a Milano nel 1980. Quella caccia al tesoro era la caccia alla nostra identità. C’è chi l’ha trovata e chi no”.
Annarita è all’inizio della sua ricerca.
Non è solo la Milano da bere quella che conosce Annarita, ma è anche quella della voglia di farcela e di emergere. Quella che tiene il piede premuto sull’acceleratore degli affari.
La temperatura della città in questo periodo è segnata dalle banche e dalle holding finanziarie, mentre la vita culturale viaggia a pieno regime, alimentando il mito della locomotiva del Paese. Milano poi è anche capitale della moda. Annarita è dunque fra i tanti che all’ora dell’aperitivo trasformano via Montenapoleone, via Della Spiga o via Borgonovo in una passerella.
CAPITOLO 3
E adesso provate a immaginare di essere una donna che a 35 anni ha il mondo in mano e che sente di poter realizzare qualsiasi cosa. Annarita è ormai la tipica yuppie della Milano da bere: tailleur, tacchi alti, 24 ore.
Ogni giorno deve darsi da fare per essere accettata davanti a un forza vendita di 200 maschi. Quindi assieme al tailleur e ai tacchi indossa anche la maschera dell’efficienza. La sua vita è una continua dimostrazione del dover essere in gamba, del dovercela fare. Ma fare che cosa? Carriera? Fatturato? Quella non è la vita che vuole davvero. Annarita non deve dimostrare niente a nessuno. Vuole solo essere se stessa.
Annarita lavora sempre, viaggia molto, guadagna bene. Ogni tanto si sfoga ballando in discoteca e poi ricomincia la sua battaglia quotidiana.
È una donna di successo che si è fatta da sola.
Eppure non è pienamente soddisfatta, ma d’altra parte non sa bene cosa vuole perché non sa ancora chi è.
Lo capisce nel 1999, durante quello che sarà il suo ultimo viaggio di lavoro che la porta in Nuova Zelanda.
Qui Annarita viene sconvolta dalla maestosa e insieme spaventosa bellezza di quella natura primordiale. Il verde quasi accecante della vegetazione, il blu profondo del mare e l’azzurro vertiginoso del cielo, il bianco delle spiagge che sembrano fasci di luce, il giallo e il rosso e il viola dei fiori… Quel luogo è una tavolozza di colori. E poi c’è lui. Il mare.
In quel Paese in cui sembra di essere alla fine del mondo, esplode in Annarita il fuoco della domanda e si fa strada il barlume di una risposta.
Annarita viene dal mare. E’ sarda, nasce a poche metri dal mare, e se da una parte è vero che oramai lo ha dimenticato, quel richiamo primordiale si risveglia alla vista di quei luoghi sconosciuti ma per nulla estranei
È da questa consapevolezza che comincia la nuova vita di Annarita. Un cammino di rinascita alla ricerca delle proprie radici. Con impronte lasciate nella sabbia destinate a non essere cancellate né dalle onde né dal vento.
Tornata dalla Nuova Zelanda Annarita non ha più dubbi. Indossa il suo tailleur, infila le scarpe col tacco e chiede di parlare con il suo direttore, quindi… si licenzia.
Voce umano Il giorno in cui mi sono licenziata il mio direttore mi disse: Noi abbiamo investito su di te e tu vai alla concorrenza! Ma quale concorrenza? Gli ho risposto. Vado a cercare la libertà e la felicità. Da quel giorno mi hanno preso per pazza più di una volta.
La scelta di Annarita, infatti, viene giudicata azzardata da amici, colleghi e parenti. Ma che cosa si è messa in testa? Lasciare un lavoro così senza avere le spalle coperte!
Per tre anni Annarita fa la rigattiera ambulante nei mercatini dell’antiquariato e intanto dipinge. Il suo massimo desiderio è rendersi indipendente vivendo di sola creatività. L’arte è il suo chiodo fisso, ma non sa con quali strumenti e in quale muro impiantarlo.
Ancora una volta è il mare ad essere fondamentale nel percorso di Annarita che decide di tornare in Sardegna per fare i conti con le proprie origini e per ritrovare la consapevolezza della propria identità.
CAPITOLO 4
È inverno. Passeggiando sulla spiaggia di Piscinas, 50 chilometri di costa semideserta e selvaggia che le ricordano la Nuova Zelanda, Annarita si imbatte in pezzi e perfino in interi oggetti di plastica che il mare ha ributtato sulla sabbia. Non sono i soliti rifiuti che siamo abituati, nel migliore dei casi, a raccogliere oppure a scansare con un piede sul bagnoasciuga. Anzitutto sono molti molti di più e poi sono fatti di una strana plastica, vecchia di 10, 20, anche 30 anni ancora colorata e ben levigata dalle onde. Una plastica indistruttibile.
Tutti quei rifiuti sembrano ad Annarita reperti archeologici di una civiltà scomparsa.
Annarita comincia allora a raccogliere tutta quella plastica. Ogni giorno torna in spiaggia con grandi sacchi che in poco tempo riempie fino all’orlo. Non avrebbe mai pensato che ce ne fosse così tanta.
Quella plastica le piace — così colorata e trasformata dalle onde marine — e nello stesso tempo la allarma.
Quando arriva il momento di tornare a Milano, Annarita porta con sé tutta quella spazzatura, sacchi enormi stracolmi di plastica, i vicini la prendono per pazza. Carica tutto su un’auto stracolma e, una volta a casa, la getta sul pavimento. Sembra una tavolozza di colori. È una tavolozza.
Armata di viti, avvitatore, silicone, colle e martello, Annarita comincia a dare forma a questo patchwork policromo. Lei dice essere un mosaico moderno, fatto di rifiuti che ben rispecchia i nostri tempi. Utilizzando i pezzi di plastica come fossero pennellate, Annarita realizza piccoli quadretti, poi, un giorno, su consiglio di un’amica, li manda ad un galleria d’arte ad EX AEN PROVANS dove venduti in poco tempo. Cominciano così ad arrivare richieste anche da altri Paesi.
Presto Annarita comincia a realizzare anche grandi tele e sculture, come Surplus: un busto a grandezza naturale, completamente ricoperto di gadget di ogni tipo, tutti rigorosamente trovati in spiaggia: sorprese degli ovetti Kinder, Puffi in miniatura, macchinine, molle, piatti delle bambole, costruzioni, lettere magnetiche, perfino un Tamagotchi integro e una statuetta della Madonna senza testa.
Annarita lavora in completa solitudine, non si fa aiutare in nessuna fase del lavoro né quando raccoglie la plastica né quando costruisce i supporti in legno delle tele. Più che lo studio di un pittore, il suo, sembra quello di un falegname.
Arriva poi il momento fatidico della svolta che la porta alla notorietà. Quando cioè Annarita ha l’idea di riprodurre i volti di personaggi diventati icone. Charlie Chaplin, Marilyn Monroe, Zio Sam, la Ragazza col turbante e la Statua della Libertà attirano, infatti, immediatamente l’attenzione dello spettatore.
CAPITOLO 5
A questo punto dovete tornare in gioco di nuovo voi e dovete immaginare di essere a tre/quattro metri da una tela di un metro quadro che rappresenta il volto serio e curioso di Charlie Chaplin. Cappello nero, baffi neri e giacca nera su sfondo giallo. Ma come si fa con le opere d’arte, per gustarsele meglio, a un certo punto decidete di avvicinarvi di un metro poi ancora di mezzo e… Bam! Di fronte al vostro naso pezzi di tubo, bottigliette piegate e altro materiale plastico che riconoscete essere uguale a quello che avete nel vostro bidone della spazzatura.
La meraviglia che suscita l’arte vi ha colpiti, così come la consapevolezza di un messaggio che vi riguarda personalmente.
Quando questo accade, Annarita è lì a raccontare che il mare è pieno di tutta questa plastica.
Venti anni fa nessuno ancora parlava dell’inquinamento dei mari sotto questa prospettiva. E’ stata un’artista milanese a precorrere i tempi, sensibilizzando la gente in modo inedito e ancora attuale.
L’attività espositiva di Annarita comincia nel 2006 e da allora non non subisce battute d’arresto. Presto passa dalla prima mostra in un mercatino dell’usato, organizzata assieme ad altri due artisti, alla Triennale e poi al Fuorisalone di Milano, fino al Palazzo Ducale di Genova. Inoltre nel 2013 è tra i vincitori delconcorso Settimana europea per la riduzione dei rifiuti .
Annarita fa vedere a tutti come se fosse la prima volta la plastica, trasformando lo scarto in arte e sorprendendo lo spettatore con il grido d’aiuto di una natura sempre più contaminata. Tanto che, se la Dea Venere uscisse oggi dal mare, probabilmente avrebbe l’aspetto che ci ha consegnato Annarita: capelli fatti con la stoppa delle reti dei pescatori in cui sono incastrati tappi e bottigliette.
Uno dei grandi problemi ambientali di questo secolo, la plastica, diventa un messaggio di vita per un’attenzione condivisa allo scopo di contrastare l’inquinamento marino. Un modo per far raccontare all’arte i danni causati da una cattiva gestione dei rifiuti che, facendo male all’ambiente, danneggia l’uomo.
Insomma, come dice De André: Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior, una frase che è diventata un vero e proprio mantra per Annarita Serra che, però, vuole dare voce anzitutto alla speranza, prima che sia troppo tardi.
L’esplorazione artistica di Annarita non si è fermata alla plastica, allargandosi anche ad altri materiali riciclati, come le capsule del caffè con le quali, insieme a vecchie monete, ha riprodotto Pinocchio; ma anche lattine, tappi, ceramica rotta, schede madri non funzionanti, tasti del computer. Questi ultimi hanno dato vita al volto di una nonna che grida “non ti amo più”; e poi bastoncini di Cotton fiocc per ritrarre Obama e scampi di jeans.
In particolare le opere prodotte in RAEE, ossia con i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, nel 2015 hanno consentito ad Annarita di essere fra i protagonisti del progetto europeo per la gestione dei rifiuti hi-tech: Weenmodels.
CAPITOLO 6
E si arriva ai giorni nostri.
Gli scioperi per il clima, Greta Thunberg, tutti in strada a chiedere ai potenti di salvare il pianeta. Perché come dice uno degli slogan più usati: There is not a Planet B.
Alcuni successi arrivano, certe politiche cambiano, lentamente, ma si possono vedere i primi frutti di anni di sensibilizzazione sul tema ambientale. Forse l’umanità si salverà, forse questa volta ce la faremo.
Annarita, che ama definirsi la Nonna di Greta, è speranzosa. Crede e ha fiducia nelle nuove generazioni. Saranno loro a salvarci?
Siamo ai giorni nostri appunto.
Ma come sappiamo tutti fin troppo bene, i nostri giorni invece finisco per fare rima non più con la salvaguardia dell’ambiente ma con una parola letta fino ad ora solo nei libri, sentita fin ora solo nei film: Pandemia Globale.
È l’arrivo del Coronavirus, del SArs2Covid-19.
E tutto il mondo, di colpo, è preso da altre questioni, e l’ambiente finisce in fondo all’agenda politica mondiale.
La nostra protagonista però, nonostante le difficoltà del settore artistico, non si ferma. Comincia a lavorare all’uncinetto, creando piccoli cactus di lana.
Nato come un modo per meditare e tenere a bada l’ansia, si è trasformato presto in qualcosa di più e mentre Annarita c Si tratta di fake plants realistiche e allo stesso tempo fiabesche
Ah! Quasi dimenticavamo… Al liceo artistico frequentato da Annarita, quello in Brera, ricordate? c’erano compagni di classe molto talentuosi e creativi, eppure, a una rimpatriata, molti anni dopo la maturità, l’unica artista presente era lei. Annarita Serra. L’Umano #0.1 di Ma che Razza di Umani!?
Chi ha coraggio è sempre fortunato. Chi ha coraggio è sempre ripagato. Chi ha coraggio può costruirsi una vita attorno alla propria passione. Queste sono le parole d’ordine di Annarita. Una donna cha ha saputo rischiare e che continua a darsi da fare.
Lei è Annarita Serra.
E tu? Che razza di Umano sei?